Testo completo
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Celebrazioni per il 5° centenario della nascita di Bernalda
In occasione delle Celebrazioni per il V° Centenario di fondazione, il Comune di Bernalda, congiuntamente al Comitato, ha richiesto l'Alto Patrocinio di diverse istituzioni, quali: l'Università degli Studi di Basilicata; il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro; il Presidente della Provincia di Matera, prof. Angelo Tataranno; il Presidente della Giunta Regionale, prof. Di Nardo; la Prefettura della Provincia di Matera; la Presidenza dei Consiglio dei Ministri, Dipartimento Beni Culturali; la Presidenza del Consiglio Regionale di Basilicata, Dipartimento Cultura e Formazione.
Le richieste di tali Patrocini sono state avanzate al fine di dare alla circostanza una solida impronta culturale, attraverso la quale la popolazione dì Bernalda possa ritrovare le proprie origini e risvegliare la sua coscienza civica.
Il Comitato ha, quindi avviato un biennio d'attività culturali ed economiche che si articoleranno in una serie di manifestazioni, conferenze, mostre, concerti, studi storici che diano alla ricorrenza il dovuto rilievo.
Artista
Sampietro Cosimo Damiano - (Roccaforzata "Taranto" - Bernalda 1949) - pittore e fotografo italiano
Trascorse la prima infanzia a Lecce ed ereditò dal padre l'arte del disegno. Autodidatta, visse nell'età giovanile del suo lavoro, dipingendo ritratti e Madonne. Verso il 1880, fu chiamato per decorare alcune stanze del "Palazzo Guida" a Bernalda dove poi si sposò e si stabilì definitivamente. Continuò a dipingere ad olio su commissione. Realizzò tele enormi per le chiese di Bernalda e d'altre città del Sud. I soggetti religiosi mostravano una qualità estetica in sintonia con la spontaneità creativa della scuola di Fontainebleau.
A Bernalda sono di notevole effetto, nella chiesa del Convento, le grandissime tele ad olio "La discesa dello Spirito Santo" e "Le anime del Purgatorio".
Ottimo ritrattista e paesaggista, Cosimo Sampietro arricchì le pareti di molte case ed ancora oggi in abitazioni private si possono ammirare paesaggi, volti sereni e tristi e Madonne.
Santorsola Bernardino - (Bernalda "Matera" 1907 - 1976) - pittore italiano
Autodidatta. Apprende le sue conoscenze artistiche da un'attenta e meditata lettura di riviste d'arte e dalle frequentazioni di musei e gallerie, di diverse città italiane.
Era artigiano e viaggiava per necessità del suo commercio.
In un primo periodo ha dipinto ad olio su tela, su compensato e su legno: soggetti sacri, paesaggi, marine e composizioni floreali.
Poi ha realizzato la sua produzione artistica sul vetro, adoperando colori ad olio. Questa nuova tecnica pittorica evidenzia nelle opere un prezioso cromatismo e una minuzia di sfumature, in quanto il vetro gli dava la possibilità di dipingere con rara potenza espressiva e comunicativa.
Sebaste Salvatore - (Novoli "Lecce" 1939) - pittore e incisore italiano
Diplomato all'Istituto d'Arte di Lecce, frequenta l'Accademia di Belle arti a Firenze e si perfeziona nelle tecniche incisorie alla scuola di Mario Leone a Bologna.
Fonda nel 1976, coadiuvato da altri amici artisti, "La Scuola libera di Grafica" a Matera.
L'artista ha conosciuto varie stagioni espressive della pittura, rimanendo fedele alla gran lezione del segno e del colore di questo secolo.
È un esperto sperimentatore della materia. La conoscenza dei vari linguaggi dell'arte contemporanea lo ha portato alle attuali soluzioni di masse cromatiche integrate da materiali diversi. Tecnicamente queste opere sono definite "papier collè" e papier- m­chè ed hanno sempre al centro l'uso della cartapesta. C'è inoltre negli ultimi lavori, un uso spregiudicato ed esaltante del fuoco, che fonde le diverse materie in un'unica realtà. Si tratta di un intervento di tipo astratto ed espressivo, che conferisce gran forza all'opera e richiama per certi versi, la tecnica dell'encausto da lui modificata fino a renderla diversa.
Salvatore Sebaste opera nell'editoria artistica. Suoi libri d'arte sono stati esposti a "The Museum of Modern Art" di New York e al "Museo Guggenheim" di Venezia.
Sgro Raffaele - (Bruzzano Zaffirio "Reggio Calabria" 1899 - Montalbano Ionico 1988)-pittore italiano
La sua formazione artistica ha inizio a Trieste attorno al 1920 presso lo studio del noto pittore triestino Pietro Marussig. La sua attività pittorica riscuote consensi, prima a Reggio Calabria presso l'Accademia "Mattia Preti", poi a Palmi. Qui l'artista trova nell'impressionismo una nuova chiave interpretativa.
Contemporaneamente all'attività pittorica, si dedica all'arte della decorazione.
Nel dopoguerra, per motivi di lavoro, Raffaele Sgro si trasferisce a Montalbano Ionico (Matera), dove è maestro di Cosimo Lerose e d'altri giovani artisti lucani desiderosi d'apprendere l'arte del dipingere.
Profondamente suggestionato dalla cultura lucana Sgro dipinge paesaggi, nature morte, ritratti. Per la sua acuta intuizione del reale, si riconosce in Guttuso, maestro dell'Espressionismo.
Sinisgalli Leonardo - (Montemurro "Potenza" 1908 - Roma 1981)- poeta,disegnatore e incisore italiano
La sua formazione artistica ha inizio a Trieste attorno al 1920 presso lo studio del noto pittore triestino Pietro Marussig. La sua attività pittorica riscuote consensi, prima a Reggio Calabria presso l'Accademia "Mattia Preti", poi a Palmi. Qui l'artista trova nell'impressionismo una nuova chiave interpretativa.
Contemporaneamente all'attività pittorica, si dedica all'arte della decorazione.
Nel dopoguerra, per motivi di lavoro, Raffaele Sgro si trasferisce a Montalbano Ionico (Matera), dove è maestro di Cosimo Lerose e d'altri giovani artisti lucani desiderosi d'apprendere l'arte del dipingere.
Profondamente suggestionato dalla cultura lucana Sgro dipinge paesaggi, nature morte, ritratti. Per la sua acuta intuizione del reale, si riconosce in Guttuso, maestro dell'Espressionismo.
Squitieri Italo - (Potenza 1907 - Cortina d'Ampezzo 1994) - pittore italiano
Compie i suoi studi a Pavia e all'Accademia di Brera a Milano. In questa città conduce una vita piena di fermenti, tanto che per mettere ordine alle sue idee, ritorna spesso a Potenza e dipinge paesaggi e donne lucane. Spirito avventuroso e nomade, viaggia e soggiorna in tutto il mondo. A Parigi incontra Picasso, Coctean, Max Ernest ed Hemingway.
Rimane particolarmente affascinato sulle rovine di Petra che gli ricordano la città dei Sassi, la sua Lucania, perché, anche se ama definirsi cittadino del mondo, è un artista mediterraneo, lucano, solare.
La sua vicenda artistica si svolge per "cicli" e le opere risentono dapprima l'influenza degli impressionisti, poi dei futuristi.
A Cortina d'Ampezzo incontra Sironi e conosce il successo immediato: ritrae le donne più belle del mondo. Dipinge i grandi blocchi dolomitici e i "tabià" (grandi fienili delle valli alpine) con potenti volumi, generati dalle vaste superfici, disposte con sapienti elementi architettonici, atti a conferire alle composizioni forza dinamica.
Surda Mario - (Brindisi di Montagna "Potenza" 1899 - Potenza 1991) - pittore italiano
Ostacolato dalla famiglia a seguire gli studi accademici in età giovanile, frequentò poi la "Famous Artistis School" ad Amsterdam, dove apprese la tecnica dell'acquerello, alla scuola di Beint Mankes e Frans Hollaardt.
Gli acquerelli di Mario Surdo sono di uno stile personalissimo, pregni di un ideale di bellezza e di raffinatezza estrema, al di fuori d'ogni ricerca naturalistica.
In essi viene tradotta l'atmosfera dei paesaggi lucani dipinti con tinte violente e vibranti, con ombre limpide e trasparenti, con luci terse attenuate dalla vegetazione lucana.
Treccani Ernesto - (Milano 1920) - pittore italiano
Si formò nei gruppi d'avanguardia artistica, (diresse la rivista "Corrente" e nel 1978 creò la fondazione omonima) contro la cultura fascista.
Artista di forte impegno sociale e politico reinterpretò le esperienze del cubismo in uno stile chiaro e realista. Negli anni '50 s'interessò del mondo contadino calabrese conosciuto direttamente nei lunghi soggiorni a Melissa e delle periferie urbane; già frequentava la Ba-silicata, ospite presso una famiglia di contadini in agro di Metaponto.
Dal 1960 la sua arte assunse toni più lirici, autobiografici con una pittura d'elegante e deli-cata colorazione.
Nell'ultimo decennio ha operato in luoghi diversi: dalla campagna emiliana all'Italia meri-dionale (Metaponto, Policoro, Matera, Potenza), fino ai paesi dell'Ucraina.
Il suo dipingere con rapidità, pare esprimere una necessità di comunicare, di testimoniare, con una gran sicurezza di sé e dei propri mezzi, una complessa adesione alla realtà, un'espansa gioia di vivere, un senso d'illimitata libertà.
Zancanaro Tono - (Padova 1909-1985) - disegnatore, incisore, ceramista italiano
La polivalente e complessa attività artistica risente del suo umanitarismo sociale (mendi-canti, pensionati, operai, mondine, "carusi siciliani") e della polemica contro gli uomini e gli stati oppressori (il "Gibbo", satira contro il fascismo e i "Mostri palagonesi" contro il malco-stume, il sottogoverno, gli scandali finanziari).
In opposizione a questa mostruosa rappresentazione si ergono le immagini delle fanciulle, ritrovate nella mitica scoperta della cultura ellenistica e che sono metafore della possibile liberazione dell'uomo e dell'età felice nella prospettiva del futuro.
Tra i numerosissimi viaggi, sono di particolare rilievo quelli in Cina, in Sicilia e in Magna Grecia, dove soggiorna per lunghi periodi. Dagli anni Sessanta fino a pochi mesi prima della sua morte frequenta assiduamente Metaponto e l'antica Eraclea, nei cui musei tra-scorre ore ed ore a dipingere.
L'artista Zancanaro ha prodotto moltissimi disegni a china, incisioni, ceramiche sempre influenzato dal surrealismo, dalla mitologia e dalla storia.
La lacrimazione dell'immagine di Padre Pio (San Pio da Pietralcina)
Nella Chiesa "Mater Ecclesiae" (detta dei ss.Medici) in Bernalda si custodisce l'originale dell'immagine di Padre Pio che il 19 agosto 1994 lacrimò sangue.Il fenomeno straordinario durò più di una giornata e fu personalmente riscontrato dal parroco don Mimì D'Elia e da molte persone accorse a verificare l'accaduto.Ancora oggi giungono pellegrini da ogni parte d'Italia per pregare davanti al quadro e chiedere grazie di ogni genere.Il ritratto di Padre Pio era stato disegnato da
Cinzia Zambrella circa un anno prima e appeso al muro della sua cameretta fino a quella mattina quando la sua attenzione fu colpita da grosse gocce di colore rosso che colavano dagli occhi dell'immagine del frate.Le analisi eseguite in laboratori di fama internazionale confermarono che il liquido fuoriuscito era sangue umano.Il confronto del DNA con un campione ematico fornito dal convento di San Giovanni Rotondo escluse l'identità con il sangue di padre Pio.Inspiegabile resta anche il fatto che le lacrime scaturite dal foglio di carta attraversarono il vetro che copriva il disegno.Il quadretto é esposto in Chiesa alla venerazione dei fedeli, con tutte le precauzioni tecniche che garantiscono la sicurezza e la conservazione di un documento tanto singolare.
Questa leggenda narra di una famiglia ricca che abitava in un grande palazzo del centro storico. Nel palazzo ci vivevano altre famiglie,al piano terra c’era un grande atrio dove i bambini potevano giocare e dove gli abitanti dello stesso palazzo, per lo più contadini, vendevano ciò che coltivavano nelle loro campagne.
Il proprietario non faceva pagare il fitto ma in cambio voleva che gli inquilini dell’edificio si occupassero dei suoi terreni.
Prima di morire nascose tutto il suo oro in un posto segreto del palazzo. Si racconta che, per avere questo tesoro, nel quale c’era anche una chioccia d’ora a dimensione naturale con tredici pulcini, si dovesse uccidere un bimbo non ancora battezzato e sacrificarlo.
Ancora oggi nessuno è riuscito a trovare questo tesoro. Questo palazzo, tutt’ora abitato, è chiamato Palazz Ammicc perché la sua padrona portava il nome di Lalla Micca*.
Si dice che le famiglie di questo palazzo avessero più figli femmine che maschi, infatti si diceva: palazz ammic femmn assje uommn picc.
La signora ,la padrone del palazzo, aveva tre figli, una femmina e due maschi. Essendo una persona benestante, tutti i giorni si recavano a palazzo alcune serve per pettinarla e aiutarla nelle faccende di casa.
Un giorno una zingara che si era accampata nella valle del fiume Basento ai piedi del paese, passò da quelle parti e sapendo che lì era nascosto un tesoro, tentò di intrufolarsi. Entrata con la scusa di pettinare i capelli alla signora entrò nel palazzo vide la bella figlia della padrona. La rapì e la portò con sé fino a farle dimenticare la sua famiglia.
La padrona del palazzo attese per anni, invano, il ritorno della figlia.
Un giorno gli zingari tornarono ad accamparsi nella valle del Basento, proprio nei pressi di Bernalda.
La fanciulla rapita era ormai diventata donna e mentre camminava udì il suono delle campane della chiesa Madre. La ragazza incominciò a chiedere insistentemente per chi quelle campane suonassero a lutto. Doveva essere per forza una persona importante e gli zingari che avevano già saputo della morte della signora del palazzo Ammic le dissero la verità.
Spinta e guidata dal sentimento, decise di recarsi in paese a far visita alla madre ormai morta. Gli zingari le diedero il permesso di andare in paese a patto che giurasse di ritornare , lei accettò e la accompagnarono fin sotto le mura del paese. Chiese ad una donna che cosa fosse successo e questa le raccontò ciò che era accaduto tanti anni prima e che talmente forte era stato il dolore di questa mamma che si era ammalata fino a morire. La fanciulla afflitta e addolorata, si recò al palazzo paterno dove viveva la sua famiglia per salutare un’ultima volta la salma della madre. Nessuno la riconobbe. Si chinò verso la bara di sua madre e pronunciò queste parole: “Signura mia signura, tu jer a pampn e ii jer l’uv, dnar n’ tniev senz misur ma nun ma saput ammuntuà la mia vntur” (signora , mia signora tu eri il tralcio e io ero l’uva , di denaro ne avevi senza misura, ma non hai saputo indovinare la mia ventura).
Udite queste parole, i fratelli capirono che si trattava della sorella rapita anni addietro e la supplicarono di restare a palazzo, ma ella, memore della promessa fatta agli zingari,volle andar via.
Un fratello la rincorse ma non riuscii a raggiungerla, si affacciò dalla finestra che dava nella valle, accecato dalla rabbia, le sparò dei colpi di fucile e la uccise, togliendola così agli zingari che l’avevano rapita.
Oggi a palazzo Ammicche c’è una finestra murata che si affaccia sulla valle e la leggenda dice che lo spirito della signora è fuori da questa finestra che aspetta ancora la figlia.
Dove la fanciulla fu uccisa è tutt’ora denminato “U cuozz d l zingr”.
* Palazzo Ammicc deriverebbe dal nome della famiglia proprietaria, i Lambicco o i D’amico. fonte http://tracieloemandarini.blogspot.com
Il percorso espositivo organizzato all’interno del museo propone un quadro archeologico del Metapontino, dalle prime manifestazioni preistoriche al periodo tardoantico. Attraverso una selezione qualificata di oggetti e complessi funerari di recente acquisizione, si pone l’attenzione sugli aspetti più caratterizzanti delle singole fasi e si cerca di cogliere le linee generali dello sviluppo storico dell’intero territorio. Questo tipo di documentazione offre la possibilità di apprezzare le diversità esistenti tra i vari gruppi etnici che nell’antichità hanno occupato la fascia costiera ionica e di misurare il loro graduale livello di integrazione culturale.
Le sezioni principali illustrano le forme iniziali del popolamento degli Enotri-Choni durante la media età del Bronzo, l’arrivo dei Greci dalle regioni del Peloponneso nel VII sec. a.C., la formazione della colonia di Metaponto tra i fiumi Bradano e Basento con l’occupazione del territorio e lo sviluppo della città, le trasformazioni dei centri italici del retroterra e le conseguenze rovinose della conquista romana.
Per la fase più antica si mettono a confronto i manufatti ad impasto della cultura locale con i raffinati vasi italomicenei torniti e decorati. Molti di questi materiali sono lavorati direttamente sul posto da esperti artigiani emigrati in Occidente. Segue la crescita delle comunità indigene durante l’età del Ferro e l’affermarsi di gruppi familiari che dispongono di enormi risorse economiche e le esibiscono nei ricchi corredi funerari. Il bronzo è decisamente il metallo più usato per comporre l’ornamento personale, sia maschile che femminile, mentre alcuni oggetti (pesi da telaio, vaghi d’ambra ed in pasta vitrea, avorio) sono indicativi della vivacità degli scambi commerciali, dell’organizzazione sociale e del livello di specializzazione raggiunto dagli indigeni.
La ripresa dei contatti con i Greci è documentata sulla collina dell’Incoronata (Pisticci) dove sono stati ritrovati vasi d’importazione corinzia databili nella seconda metà dell’VIII secolo. La maggiore trasformazione si ha comunque nel corso del secolo successivo quando il sito ospita maestranze e commercianti di provenienza orientale. Anfore da trasporto, ceramiche fini da mensa e piccoli contenitori decorati prevalgono gradualmente sulle forme vascolari locali e testimoniano l’attività in zona di artigiani specializzati provenienti da numerosi centri della Grecia. Con i vasi giungono anche le immagini e tra le popolazioni indigene si radicano rapidamente anche le tradizioni epiche e mitologiche greche. Sono molto interessanti a questo proposito il cratere con la rappresentazione di Bellerofonte sul Pegaso ed il monumentale bacino su cui sono riportati a rilievo episodi mitici (Perseo e la Medusa), dell’Iliade e dell’Odissea (combattimento per il recupero del corpo di un eroe, Ulisse che riceve dalla maga Circe la pozione magica, coppia su carro tirato da cavalli alati, forse le nozze di Peleo e Teti, genitori di Achille). Il repertorio leggendario è usato in modo strumentale per creare i presupposti di un’intesa o per recuperare la memoria di un’antica familiarità. La distruzione dell’abitato dell’Incoronata coincide con la fondazione achea di Metaponto su sollecitazione dei Sibariti. I materiali esposti provano la notevole differenza esistente in età arcaica tra i comportamenti dei gruppi aristocratici della colonia e quelli delle comunità enotrie. Da un lato traspare la grande sobrietà funzionale nella scelta degli oggetti che compongono i corredi funerari (spada o coltello per il taglio delle carni, oinochoe e phiale per le cerimonie di purificazione rituali), dall’altro, invece, si accentua in modo esasperato il lusso (tryphè) dello stile di vita e l’ornamento personale.
La fase classico-ellenistica della colonia segna il passaggio a forme di religiosità più individuali rivolte principalmente alla salvezza dell’anima. Si affermano, infatti, scene di convivio o di dichiarato significato esoterico (presenza di Orfeo, Dioniso, Demetra, nascita di Elena dall’uovo). Gli italici, invece, manifestano interesse verso i nuovi culti, ma mantengono invariato un generale gusto per l’esuberanza e per la cura dell’ornamento personale.
La conquista romana ha effetti disastrosi per tutti. La città perde autonomia politica ed economica. L’abitato si riduce al solo nucleo portuale posto alla foce del Basento. L’agorà è occupata da un gruppo di sepolture in cui riemerge l’interesse per gli oggetti destinati alla cura della persona. Si segnala il corredo della tomba femminile con ampolline in vetro e spatole per la preparazione delle creme per il viso.
Una sezione finale dell’itinerario di visita è dedicato alle tecniche per la produzione della ceramica. Metaponto per la qualità della sua argilla e per la professionalità dei suoi artigiani ha sempre prodotto ed esportato nei maggiori centri dell’Italia Meridionale vasi d’uso quotidiano e di notevole pregio artistico, destinati ai ricchi corredi delle élites italiche.A Metaponto hanno di sicuro operato maggiori esponenti della scuola protolucana e lucana,come il pittore di Pisticci, di Amycos, di Creusa, di Dolone.
Il parco archeologico, situato a nord di Metaponto Borgo, comprende il santuario urbano, parte dell’agorà, il quartiere artigianale per la produzione delle ceramiche (kerameikos) ed il grande asse viario nord-sud (plateia) su cui s’imposta l’intero impianto urbano. Nell’insieme sono riconoscibili le tracce di una notevole quantità di monumenti che hanno segnato la vita civile e religiosa della colonia, dalle fasi iniziali della sua fondazione, fino alla conquista romana avvenuta nel III secolo a. C.
Purtroppo le strutture non sono conservate in maniera vistosa. Molto spesso si osservano solo i primi filari o le tracce in negativo delle fondazioni. Questo è imputabile al continuo saccheggio sofferto dalla città greca per l’assenza in zona di valido materiale da costruzione. I grandi blocchi squadrati di calcare sono stati riutilizzati di continuo ed in tutti i periodi storici. Lo stesso complesso medievale di Torre di Mare, nei pressi dello scalo ferroviario, è stato costruito con i materiali lapidei provenienti da più edifici metapontini.
L’area sacra è marginata su due lati (ovest e sud), oltre che da un muro perimetrale(temenos), anche da ampie strade ortogonali.Il lato est, invece, è segnato solo da una simbolica teoria di piastrini che la separa fisicamente dall’altro spazio pubblico dell’agorà.
I depositi votivi ed i piccoli sacelli più antichi sono databili a cominciare dalla fine del VII secolo a.C., mentre i due maggiori templi (Heraion ed Apollonion) sono realizzati in stile dorico intorno alla metà del VI secolo a.C.. Essi sono il risultato di un processo di monumentalizzazione del santuario che sembra concludersi con la costruzione del tempio ionico (D) e con il rifacimento dell’edificio C, nei primi decenni del V secolo a.C. I resti più imponenti appartengono al tempio di Hera (A), di cui si propone la sequenza delle 8 colonne della fronte orientale con una parziale ricostruzione dell’elevato. L’intero ingombro planimetrico, invece, è suggerito dalla ordinata disposizione degli altri elementi architettonici residui. Il depredamento dei blocchi squadrati ha interessato anche la gradinata ed i livelli di fondazione. Per questo risulta molto difficile poter immaginare l’originario piano di appoggio del possente colonnato perimetrale (peristasis).
A lato si sviluppa il tempio dedicato ad Apollo Lykaios (Luminoso o Lupo), di cui si apprezzano in fondazione alcune colonne monolitiche non scanalate relative ad un edificio precedente, mai realizzato.
L’imponenza della struttura, la grande base si deve alla necessità di reggere un grande peso determinato dal tetto in marmo.
L’edificio si caratterizza per la ripartizione centrale della cella e per il doppio colonnato sulla fronte orientale. Il sacello C, probabilmente dedicato ad Atena, si propone per l’ampio basamento a grossi blocchi di calcare e per la piccola cella riferibile al primo impianto di fine VII - inizio VI secolo a. C.
Questo edificio ed il tempio ionico (parzialmente ricostruito negli elementi decorativi della fronte orientale) mantengono un orientamento ‘arcaico’, differente da quello dei due templi maggiori che si allineano perfettamente alle geometrie del reticolo urbano. E’ quindi probabile che l’adozione del nuovo impianto ortogonale nella città coincida anche con la grande fase edilizia che ha interessato il santuario e che entrambi gli interventi facciano parte dello stesso progetto. Il tempio ionico è dedicato ad Artemis. La linea delle fondazioni e la fronte orientale di questo edificio sono state parzialmente ricostruite con nuovi materiali. Gli elementi decorativi originali sono esposti nell’area dei servizi sempre all’interno del parco archeologico.
Davanti ai templi si trovano gli altari, accompagnati da numerose basi, iscrizioni ed oggetti votivi. Durante il III ed il II secolo a. C. l’area sacra perde progressivamente monumentalità e funzione. In questo periodo si registrano solo modesti interventi. Tra questi si ricordano la costruzione del sacello (E), forse dedicato al culto di Dioniso, i porticati leggeri disposti lungo l’asse stradale principale ed i piccoli ambienti di servizio con pozzi per l’approvvigionamento idrico.
Sono strutture costruite con materiali di reimpiego. Tutto questo denuncia un evidente impoverimento generale della città ed il crollo dei grandi templi.
Nell’agorà, invece, si distingue nettamente l’imponenza architettonica del teatro che nel corso della seconda metà del IV secolo a.C. sostituisce il precedente edificio circolare arcaico, indicato in modo convenzionale come ekklesiasterion. L’edificio ha ospitato di sicuro la massima assemblea cittadina (ekklesìa), ma anche gare e spettacoli con grande partecipazione popolare. L’assenza nell’area di un pendio collinare ha imposto l’invenzione di un rilevato artificiale. Questo è trattenuto all’esterno da un muro di contenimento a grossi blocchi di calcare.
Nella sistemazione attuale è possibile notare lo sviluppo della prima struttura seguendo il tracciato dei profilati metallici. Al centro è riconoscibile l’orchestra di forma rettangolare con due grandi ingressi contrapposti. Per rappresentare l’elevato del teatro, invece, è stata preferita la ricostruzione in muratura di un settore del muro di contenimento esterno, decorato con colonne e fregio dorico. Lungo questo muro si aprono anche gli ingressi che dovevano consentire l’accesso degli spettatori alla parte alta della gradinata (cavea).
Sul lato opposto della moderna strada di accesso al parco, prima della linea ferroviaria, si sviluppa l’area del cosiddetto Castro Romano, realizzato tra l’agorà e la linea delle mura orientali, probabilmente per ospitare la guarnigione militare romana durante le vicende belliche del III secolo a. C., prima della sconfitta definitiva dell’esercito cartaginese guidato da Annibale.
In questo settore di scavo è presente una significativa stratificazione di livelli stradali e strutture murarie che documenta una significativa continuità di occupazione umana. Nel rispetto della originaria organizzazione viaria greca si susseguono numerosi piani di frequentazione, dal periodo arcaico fino al VI -VII secolo d. C.
Di particolare rilievo risulta il grande porticato (stoà), probabilmente a due piani con colonne e fregio dorico, che chiude il lato est dell’agorà. La struttura, nelle fasi più tarde, perde la sua funzione primaria di colonnato a chiusura della grande piazza ed è frazionata in piccole unità abitative. Nel IV sec. d.C. ospita anche un edificio di culto paleocristiano a tre navate con annesso battistero. Durante il periodo imperiale Metaponto si contrae ulteriormente e si riduce ad un piccolo abitato all’interno dell’area del Castro. Esso vive in funzione del porto e della viabilità costiera. E’ significativo che lo spazio pubblico della città greca (agorà e santuario) ospiti un settore della necropoli, quasi a voler sottolineare la perdita di ogni rapporto culturale e topografico con le fasi di vita precedenti.
Testi a cura di Antonio De Siena - Immagini e galleria a cura di Nunzia Armento